Lentamente

Roberto Beccantini16 settembre 2014

Dietro la laboriosa vittoria sul Malmoe ho colto, nella Juventus, una tevezizzazione fin troppo plateale. Vero nueve e falso diez, alla Ibra (che Allegri ebbe nel Milan, toh). Con gli svedesi così catenacciari, i suoi movimenti «incontro» hanno solcato e agitato la noia di certi piatti unici, fino alla magia del tacco propiziatorio di Asamoah. E alla punizione liberatoria, quasi in coda ai titoli di coda.

Già con Conte Tevez era salito sul podio dei gol e aveva piegato gli equilibri al suo spirito guerriero. Questa volta, è andato oltre. Molto oltre. Degli avversari, almeno per un’ora, la Juventus ha patito la fisicità e i lanci lunghi, gli stessi che, made in Malines, imprigionarono il Milan di Sacchi. Scritto che il 3-2 dell’Olympiacos all’Atletico Madrid ha scosso i fragili equilibri del gruppo, e detto dei cambi di Allegri, tutti a ritardo debito, aggiungo quanto segue.

In campionato, meglio i primi tempi. In Champions, meglio il secondo. In generale, più gestione e meno passione. Palle gol concesse a Chievo, Udinese, Malmoe: una a testa. Pogba a piede libero, Marchisio in versione lucchetto. Per Llorente, più cross radenti che alti. Asamoah centrale (quanti tiri!) ed Evra ala sinistra non mi hano entusiasmato. E’ finita così, e allora i ritmi lenti sono stati calcolo, pazienza, maturità. Fosse finita pari, avremmo parlato di pigrizia, di tirchieria, di carenza di personalità. I morsi di Morata lasciano sempre un non so che di «vedrai, vedrai».

L’ala destra della Juventus è un terzino, Lichtsteiner. Da Conte ad Allegri, nulla è cambiato (su questo versante). «In tre anni ancora non si è capito che senza ali e senza dribbling in Europa non si va lontano», scriveva il gentile Nino sullo zero a zero. Il ragionamento mi è caro. Felicissimo(i) di essere smentito(i).

Un tuffo nel passato

Roberto Beccantini14 settembre 2014

Milano da bere, come negli ani Ottanta: 7-0 dell’Inter al Sassuolo, 5-4 del Milan a Parma. Gianni Brera avrebbe chiesto scusa ai lettori, prima di mettersi a picchiare sui tasti. E’ il calcio, bellezze. Tutto fa brodo (divertimento): anche gli errori, perfino le comiche, tipo il retropasticcio tra De Sciglio e Diego Lopez. Per questo, bando alle ciance.

Inter. Quindici zero, con il Sassuolo è sempre una pacchia: 7-0, 1-0, 7-0. Al di là del nulla isterico di Berardi e del niente molle di Zaza, spazzati via dai guerrieri di Mazzarri, comincia a prendere forma la dorsale Medel-Kovacic-Icardi. Medel è il lucchetto di casa Handanovic, come Desailly, con Capello, blindava il cortile di Baresi. Kovacic, a 20 anni, sta prendendo per mano la squadra. Puro talento. Icardi, classe 1993, vede la porta e con una spalla al fianco rende di più, Osvaldo o Palacio che sia.

Milan. Partita d’altri tempi, si suole dire in questi casi. Inzaghi non ha coppe, può bombardare di lavagne Milanello. Quando attacca, il Milan incanta: le girandole di Ménez e Honda, le volate di Abate e De Sciglio, i tagli di Bonaventura (gol al debutto). Era già successo con la Lazio, protagonista El Shaarawy. Piedi buoni e rapidità di pensiero. Quando difende, viceversa, sono cavoli amarissimi. Superficialità e lentezza di riflessi. Tutti problemi già emersi al cospetto di Candreva e c.

Ménez. E’ stato straordinario, ideale per il ruolo di falso nueve (perché Torres Gump, allora?). Una freccia, un gran dribbling. E già tre reti. Capocannoniere, come Icardi. Ha 27 anni, con Roma non si prese. Nel Paris Saint-Germain era la cornice, nel Milan è diventato il quadro. Occhio ai tuffi. Il secondo giallo a Felipe è frutto di una palese simulazione. E sul rigore, la spinta di Lucarelli (da rosso), ammesso che fosse tale da generare una simile caduta, era cominciata fuori area. Il peggiore in campo? Massa.

Tutti Allegri, anche Garcia

Roberto Beccantini13 settembre 2014

Garcia ha scelto il turnover, Allegri no: avrebbe potuto risparmiare Tevez, al massimo. Morale: 1-0 la Roma a Empoli, 2-0 la Juventus all’Udinese. La Champions, cinica ma non bara, ci aiuterà a capire se e cosa è cambiato rispetto a un anno fa, quando la Juventus di Conte s’impantanò a Istanbul mentre i romanisti bighellonavano a Trigoria.

Ecco: un’arma in più mi sembra il tiro di Nainggolan. Gol alla Fiorentina, gol-autogol (del portiere, Sepe) in Toscana. Una variante, in attesa di considerarla una costante. Da Gervinho-Totti-Iturbe a Florenzi-Destro-Ljajic: Garcia ha preso l’attacco e l’ha smontato. Allegri, bontà sua, ha fatto esattamente il contrario: da Tevez-Coman a Llorente-Tevez.

Senza Totti, e con Pjanic sbadigliante, la Roma ha badato al sodo. Quel tiratardi di Maicon avrebbe pouto segnarne non meno di due. La Juventus, viceversa, ha riservato a Stramaccioni un primo tempo «alla» Chievo. Mi è piaciuto Pereyra (per metà gara) e abbastanza Evra, al debutto. Troppo dolci sotto porta, i campioni. Buffon, a Verona, evitò la più perfida delle beffe. Il gol di Bubnjic era in fuorigioco di centimetri. Sarebbe stato un colpo basso alla trama, ma il calcio si ciba di quelle cose lì.

Di Natale e Muriel non pervenuti. Senza voto, Buffon. E più che dignitoso il contributo di Ogbonna, sul conto del quale, parafrasando l’impero di Carlo V, non tramonta mai il dubbio. Bella, la Roma del primo tempo con la Fiorentina. Belli, l’ho scritto, i primi tempi della Juventus. Confermando l’impianto lasciatogli dal neo ct, Allegri ha scelto la strada più intelligente, non solo o non tanto quella più facile o comoda.

L’Europa, adesso. Malmoe per la Juventus, Cska Mosca per la Roma: non saranno travi, ma non sono neppure pagliuzze. Occhio.